Enrico V, figlio del miracolo

Quando il 29 Settembre del 1820 nacque, Enrico Carlo Ferdinando Maria Deodato d'Artois fu chiamato il figlio del miracolo. Tra i Borbone di Francia non erano più nati eredi maschi e la dinastia era a rischio. Il padre di Enrico, il Duca di Berry, venne assassinato a Parigi per mano di un operaio bonapartista che sperava così di estinguere davvero la dinastia. Ma la madre, la principessa Carolina dei Borbone di Napoli, era già incinta di lui ed Enrico nacque sette mesi dopo la morte del padre, riaccendendo le speranze e l’entusiasmo in tutta la Francia e l’Europa.

All’erede maschio era riservato anche il titolo di Duca di Bordeaux. La nascita del figlio del miracolo era vista come la prova che la Provvidenza vegliava ancora sui Borboni e sulla Francia. La Francia intera si organizzò per una pubblica sottoscrizione e offrì al piccolo Enrico nel 1821 il castello di Chambord, da cui deriva il titolo – che lo accompagnerà per tutta la vita – di conte di Chambord.

Quando il nonno Carlo X abdica in suo favore, Enrico V ancora bambino è il nuovo Re di Francia. Gli orleanisti, però che non l’avevano mai riconosciuto come legittimo figlio del Duca di Berry, proclamano Re Luigi Filippo III d’Orleans.
Nel 1836 Enrico, con il nonno Carlo X e il resto della famiglia reale in esilio, si trasferisce a Goriziacui resterà legato per tutta la vita. La sua residenza goriziana fu Palazzo Strassoldo in Piazza Sant’Antonio, dove viveva con i genitori e con parte della corte francese tra cui lo zio Luigi Antonio Duca di Angoulême. Nel giardino dietro il palazzo, il giovane Enrico si dedicava tutte la mattine al tiro al bersaglio e alle arti militari che facevano parte della sua educazione, mentre nelle prime ore del pomeriggio usciva per lunghe passeggiate nelle campagne circostanti.
Per festeggiare i suoi 18 anni, nel giardino furono piantate una vite e un rosaio da cui ancor oggi fioriscono le roselline di Chambord. Enrico e la famiglia reale parteciparono attivamente alle attività culturali e mondane della città isontina. Le sue giornate sono scandite da rigorosi impegni educativi.
La Rochefoucauld lo descrive come un bell'adolescente dalla fisionomia piena d'intelligenza, degno degli alti destini legati a condizione e nascita. Per Stendahl aveva un'aria molto buona, molto dolce. Enrico viaggiò molto: in Italia, Baviera, Sassonia, Gran Bretagna, Romania. A Verona incontra Radetzky; a Milano visita Alessandro Manzoni; a Roma è conteso dalla nobiltà papalina e ricevuto dal pontefice Gregorio XVI; nel Banato di Timisoara avvicina i connazionali stabilitisi in quella regione ai tempi di Maria Antonietta. Ciononostante mantenne sempre un forte legame con Gorizia. Dopo averla lasciata per la residenza di Frohsdorf, per alcuni anni gli anni ritornò durante il periodo estivo, per godere di alcuni mesi ristoratori nel verde lussureggiante e protettivo di Villa Attems Sembler. Testimonianze scritte lo attestano in città nel  1851, per la morte della duchessa d'Angouleme, e nel 1864, per i funerali della sorella Luisa.

Passa un periodo anche a Venezia ma dopo l'annessione della città Serenissima all'Italia sceglie di nuovo il capoluogo isontino per sfuggire ai rigori della cattiva stagione. Nel frattempo ha contatti regolari con il ramo carlista dei Borboni di Spagna che sono a loro volta costretti all'esilio e si stabiliscono a Trieste.

Le chiusure mentali, il rigido e velleitario conservatorismo, impediscono a Enrico – che ha sposato Maria Teresa degli Asburgo d'Este, duchessa di Modena, imparentata con i carlisti iberici – di cogliere i segni della storia e di approfittare dei tentativi di dargli la corona. Con la caduta di Napoleone III, nel 1870, Enrico prontamente si erige a pretendente effettivo al trono. Capo del movimento legittimista, Enrico lancia vari proclami ai francesi nei quali propugna una monarchia costituzionale e trova il favore del Parlamento che ha ora una maggioranza monarchica. Ma il suo radicalismo, gli sbarrerà la strada: alla delegazione di deputati che lo incontra nel castello di Frohsdorf, in Austria, da lui acquistato nel 1851, dichiara, infatti, di non avere alcuna intenzione di diventare il "re legittimo della Rivoluzione", che tanto ha avversato, rifiutando la bandiera tricolore e determinando così il fallimento del suo stesso tentativo di Restaurazione borbonica. Mandata così per aria l'ascesa al trono, il Parlamento francese decide di attendere la sua morte per nominare re Luigi Filippo Alberto d’Orleans, nipote di Luigi Filippo I che resterà soltanto pretendente al trono come Filippo VII.
Enrico V si spegne a Lanzenkirchen, in Austria, il 24 agosto 1883, all'età di 63 anni. Il 3 settembre il feretro è accolto con grandi onori alla stazione ferroviaria di Gorizia. Un lunghissimo corteo accompagna silenziosamente l'ultimo viaggio per le vie della città, tutta listata a lutto, tra fitte ali di folla; ogni dieci metri un soldato presenta le armi.
Dopo il principe arcivescovo e la carrozza con le insegne reali, un carro funebre tirato da sei giumente bianche impennacchiate, coperte di gualdrappe nere ornate di gigli d'argento; lo scortano sei servitori con lanterne accese; la bara è avvolta da un vessillo bianco, reliquia della guerra di Vandea. Dietro il carro avanza il principe di Torre e Tasso in alta uniforme bianca e oro; vengono poi i principi e i rappresentanti delle potenze europee. Mentre le campane delle chiese suonano a stormo, sulla salita di Castagnavizza dove sarà sepolto, nel corteo ci sono dame d'onore, principesse, gentiluomini di corte, zuavi pontifici, deputazioni francesi, autorità austriache e il popolo di Gorizia.

Con la sua morte si estingue il ramo primogenito dei Borbone di Francia.


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