Spunti per una riflessione

Ha scritto un diplomatico, René Dollot «Peu de cités étrangères sont plus intimement liées à notre passé». E in effetti, ogni qual volta la Francia ha esercitato un ruolo attivo nella politica internazionale, Trieste ne è stata coinvolta appieno. È un destino che le viene dal suo essere città di mare, al di là dell’intrinseca rilevanza. Quello che l’amm. Forbin bombarda nell’agosto 1702, è un borgo di appena 5000 anime, la cui massima risorsa è l’estrazione e il commercio del sale. Poca cosa è anche l’episodio bellico, che avviene nel momento culminante della guerra di successione spagnola, il primo conflitto mondiale dell’età moderna. Con questa guerra, l’Austria subentrerà alla Spagna come potenza egemone in Italia, e ciò segnerà l’inizio di una politica di espansione marinara, alla quale Venezia sarà sempre meno in grado di reagire.

Cessata la voce delle armi, Trieste e l’Europa sono investite dall’ondata culturale che si diffonde da Parigi. Il francese è la lingua comune alla corte di Vienna, le arti e le scienze ne sono il veicolo. Il dispotismo illuminato fa tesoro dell’esperienza tecnica francese, ad esempio di quella cartografica che si pone come un nuovo strumento per il controllo del territorio. Da Parigi, dove fa scuola F. Quesnay, l’ideale fisiocratico giunge fino a Gorizia, suscitando un nuovo interesse per le pratiche agricole. Voltaire e Rabelais sono di scena anche a Trieste, in un teatro che gode dell’appoggio del governatore, il conte Zinzendorf. Sempre più legata al resto d’Europa, la città diventa meta di viaggiatori provenienti da oltr’Alpe: fra questi L. Cassas, che diverrà il «ritrattista» dell’Adriatico. Alla fine del secolo, la bandiera francese è terza nei commerci del porto quando nel 1792, il tricolore sostituirà i gigli della monarchia. L’eco degli avvenimenti di Parigi sconvolge l’Europa, ed ecco che Antonio de Giuliani, rampollo del patriziato triestino, insorge in difesa della «legge naturale» e del suo sovrano, indirizzando una lettera alla Convenzione Nazionale. Grido inascoltato, ché la storia non segue i filosofi, e niente vale ad arrestare le armate di Bonaparte. Nella città adriatica, il generale soggiorna ventiquattr’ore appena, ma le conseguenze delle sue imprese avranno lunga durata. Venezia, la grande rivale, scompare dalla geografia politica e con tutti i suoi dominii passa all’Austria. Dopo Campoformido, Trieste diviene la meta di uomini in fuga che cercano scampo dalle armate rivoluzionarie: Oscar de Incontrera ne conterà più di trecento! Fra questi, molti religiosi, molti nobili, ma anche le figlie di Luigi XV, le principesse Vittoria Luisa e Maria Adelaide, che troveranno a Trieste l’ultima dimora.

Nel 1805, una seconda occupazione della città prelude ad un nuovo sconvolgimento della carta geografica. Dalla pace di Presburgo nasce il Regno d’Italia, di cui entrerà a far parte lo stato veneto. Quattro anni più tardi, l’Adriatico diviene un lago francese: Trieste, l’Istria e la Dalmazia entrano in uno stato satellite – le Province Illiriche – integrato nell’Impero Francese. Abitato da quattro stirpi, l’Illirio riceve un’impronta francese nell’ordinamento amministrativo e nel sistema fiscale; il codice napoleonico e l’idioma francese dettano legge. Nella nuova situazione, Trieste viene colpita duramente nei suoi commerci, paralizzati dalle incursioni inglesi e dal blocco continentale; recupera una certa importanza come sede amministrativa dell’Intendenza per l’Istria e come nodo logistico per le truppe.

Il ritorno dell’Austria nel 1814 porta con sé una nuova ondata di esuli. Fra di essi Girolamo Bonaparte, già re di Westfalia, che ricambierà l’ospitalità concessagli da Metternich fuggendo ad Ancona durante i «cento giorni». Avventura effimera: colui che era fuggito come conte de Harz, ritornerà sotto le spoglie di principe di Montfort, per condurre una vita tranquilla (sotto la benevola sorveglianza della polizia) nella sua villa tergestina. La città vedrà quindi per una decina d’anni l’esistenza di due piccoli corti in esilio, ché alla famiglia di Girolamo si aggiungeranno Carolina vedova Murat, Elisa e il marito principe Baciocchi, oltre a numerosi ex ministri e funzionari napoleonici, primo fra tutti Fouché.

Con la pace, la ripresa economica è rapida. Stendhal, per breve tempo console a Trieste, scriverà incantato di questa città «qui annonce les cités américaines du XXe siècle sans rompre l’enchantement avec le passé». Svanito il sogno imperiale, l’Illiria entra nella cultura francese, partecipando di una dimensione mitica. Perfino il brigantaggio, che tanto filo da torcere aveva dato alle truppe franco-italiche, viene nobilitato nelle pagine di Charles Nodier, l’ex direttore del «Télégraphe officiel». Seguendo l’esempio di L. Cassas, le cui illustrazioni, edite da Lavallée nel 1802, hanno girato il mondo, pittori ed incisori francesi giungono a Trieste per tutto il resto del secolo, lasciando una serie di vedute che testimoniano lo sviluppo costante di una città insieme bella e industriosa. I rapporti si mantengono vivi, nonostante i periodici attriti tra Francia ed Austria. Nel ’32 Luigi Filippo invierà il vascello Suffren in Adriatico, in un’azione dimostrativa. Solo pochi anni più tardi, a Gorizia, chiuderà per sempre gli occhi Carlo X. Dopo Solferino, l’ennesimo riavvicinamento avviene all’insegna di due grandi imprese, l’apertura del Canale di Suez e la sfortunata avventura nel Messico di Massimiliano d’Asburgo.

All’appuntamento di Suez, Trieste si presenta priva di un porto all’altezza dei tempi, che richiedono ampie banchine con allacciamenti ferroviari. È un francese, l’ingegner Talabot, giunto a Trieste per la questione del canale, a proporre la realizzazione di quello che sarà conosciuto come il «porto nuovo», costruito sul modello di Marsiglia. Poste le premesse per lo sviluppo economico, a Trieste l’attenzione si sposta verso la crescita culturale e politica. Gli scrittori francesi lo avvertono e contribuiscono a diffondere l’idea di «Trieste irredenta», come sottolinea il Bazin. In francese usciranno, durante la «grande guerra», numerosi «pamphlets» di propaganda, nonché la monumentale ricostruzione storica del Tamaro, che ha influenzato per decenni la storiografia italiana sulla Venezia Giulia.

Tra le due guerre mondiali, in Francia le vicende delle terre adriatiche divengono oggetto di indagine scientifica, con opere di P. H. Michel e M. Pivec-Stelé. Lo stesso accadrà dopo il 1945, ed ancora una volta i romanzieri, come Jean Anglade, uniranno la loro voce. In piena guerra fredda, Jean Bruce riprenderà una tematica già cara a Verne, immaginando una Trieste crocevia dello spionaggio.

Lentamente, la tempesta si va placando, e dalla città escono messaggi di pace, attraverso gli scritti di Saba e di Svevo. Nella città non più contesa con le armi, gli intellettuali riscoprono il legame con la Francia, attraverso le pubblicazioni, i convegni, le dissertazioni di laurea. Una nuova strada si va tracciando per questa città, dove, come scriveva nel 1806 il gen. Foy, «i battelli delle nazioni civili ormeggiati gli uni accanto agli altri, danno l’immagine della fraternità fra i popoli».

Gianfranco Battisti

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