I luoghi
PIAZZA DELLA BORSA Possiamo cominciare raccontando che all’interno del Palazzo della Borsa (Camera di Commercio, l’Imperatrice Maria Teresa nel 1755 costituì la Borsa Mercantile di Trieste) c’è la Meridiana a camera oscura (1820) costruita sull’equinozio d’autunno, la data che la Rivoluzione francese scelse come inizio del proprio calendario. Un ricordo della presenza dei Napoleonidi in città, che intendevano ordire un complotto per liberare Napoleone Bonaparte dall’isola di Sant’Elena, dove era stato esiliato dopo Waterloo e l’abdicazione. Complotto che venne messo a punto - purtroppo non in tempo - nella Villa Economo, di proprietà del fratello dell’Imperatore, Girolamo Bonaparte, rifugiatosi a Trieste. Ma su questa piazza si affaccia anche la barocca Casa Romano, dal nome del primo proprietario, che fu anche il primo “ospite” di Girolamo Bonaparte quando nel 1814 decise di trasferirsi con la moglie Caterina a Trieste. Fu Romano, il grossista titolare dell’omonima ditta di Borsa, a vendere a Girolamo il palazzo, che si affacciava sul mare (non esiste più, Via Diaz 19) e che divenne teatro della fuga del fratello dell’Imperatore dalle autorità austriache all’indomani dello sbarco nel Golfo Juan di Napoleone, di ritorno dall’Isola d’Elba. Oltre all’epopea napoleonica su Corso Italia, sullo stesso lato di Casa Romano, all’isolato successivo si trova il palazzo, sede della Locanda “All’Aquila Nera” (Zum Schwarzen Adler), che ospitò al suo arrivo nel 1830 il Console di Francia Henry Beyle. Stendhal non amava Trieste, non sopportava il suo clima, ma pensava fosse già lo specchio di una città moderna con la più bella pavimentazione d’Europa. Si infatuò di una cantate del Teatro Grande, che data 1801, anche se in città gli autori francesi nel vecchio Teatro San Pietro trovarono spazio sin dal cartellone del 1774, quando venne rappresentata la Gabrielle de Vergy di Dormont De Belloy.
PIAZZA GIUSEPPE VERDI Il Teatro che si affaccia sula piazza, progettato da Giannantonio Selva come la Fenice di Venezia, all'epoca non era ancora dedicato al compositore Giuseppe Verdi. Né la piazza aveva l’aspetto che oggi le conferisce la costruzione del Palazzo del Tergesteo, che risale al 1842. Tuttavia quest’area fu luogo di incontro importante per i Francesi a Trieste, soprattutto perché qui sorgeva la bottega di Joseph Labrosse, gentiluomo della nobiltà avergnate che la Rivoluzione francese fece stabilire nel grande porto austriaco dell’Adriatico, lanciato verso le grandi fortune emporiali nel 1791. Labrosse altri non era che Albert-François de Moré Conte de Pontgibaud, nato a Parigi nel 1754 e colonnello fedele di Luigi XVI: accolse a Trieste i Realisti in fuga dalla Rivoluzione e si rivelò punto di riferimento anche per i Napoleonidi in fuga dalla Restaurazione. Non a caso è lui che nel 1799 accolse, subito dopo la prima occupazione francese, le Mesdames di Francia, Adelaide e Vittoria, figlie di Luigi XV, che giunsero a Trieste, dove morirono, circondate dalle attenzioni degli esuli a Palazzo de Lellis (non esiste più, si trovava dove oggi c’è il giardino davanti alla Stazione ferroviaria). Sono sepolte entrambe nella Cattedrale di San Giusto, dove vennero omaggiate nel 1806 dalla visita di François-René de Chateaubriand diretto in Terrasanta. L’autore del Génie du Christianisme descrisse Trieste come una “città costruita regolarmente, posta sotto un cielo molto bello, ai piedi di una catena di sterili montagne. L’ultimo soffio dell’Italia viene a morire su questa spiaggia, dove comincia la barbarie”. Ma torniamo un momento a Labrosse, solo per ricordare che di lui scrissero Charles Nodier - altro ospite di Trieste - ma anche Honoré de Balzac e George Sand, a testimonianza di una vita avventurosa e buona che si concluse a Trieste dove per decenni rimase sepolto sotto il marmo con l’epigrafe dettata direttamente da Domenico Rossetti. Del Teatro abbiamo già raccontato i cartelloni in lingua francese e dell’innamoramento di Stendhal per la cantante Carolina Ungher; ora però dobbiamo ricordare che anche Girolamo Bonaparte ebbe una lunga storia con l’attrice Rosa Pinotti, che i consoli francesi per un centinaio d’anni ebbero un palco riservato, che Elisa Bonaparte fu appassionata frequentatrice del Teatro Nuovo (come allora veniva chiamato). Pare che proprio per incontrare Elisa Niccolò Paganini fosse venuto a esibirsi qui nel 1816, anche se altre versioni mettono in guardia dalla veridicità di questa versione dei fatti perché pare che il celebre musicista, amante di Elisa, di passaggio a Trieste verso Vienna, si fosse ben guardato dall’incontrare una Bonaparte. Infine, all’esterno del Teatro ci sono ben cinque palle di cannone da 32 libbre, ricordo dell’ultima battaglia dei Francesi nel 1813. Tante altre palle di cannone (comprese quelle incastonate sulla facciata della Cattedrale di san Giusto) sono ancora disseminate sui colli di Trieste e in pieno centro, a ricordare l’ultima battaglia dei Francesi a Trieste: la città fu cinta d’assedio dal mare e da terra, i Francesi resistettero asserragliati nel Castello di San Giusto, gli Austriaci premevano dall’altopiano, gli Inglesi bombardarono dal mare e sbarcarono sulla spiaggia di Sant’Andrea con duemila marines.
PIAZZA DELL'UNITA' D'ITALIA La Fontana dei Continenti era già in piazza, anche se spostata rispetto all’attuale collocazione, ma non c'erano ancora i palazzi che oggi la circondano: non c'erano Palazzo Stratti sede delle Generali con il Caffè degli Specchi, il palazzo del Lloyd Triestino, né la Prefettura o il Comune. Non c’era il giardino che chiude la piazza dal 1865 ma c’era già, dove oggi sorge l’Hotel Duchi d’Aosta (Palazzetto ex Vanoli, 1873), la Locanda Grande dove, peraltro, aveva già trovato la morte nel 1768 Giovanni Gioacchino Winckelmann, prussiano, fondatore dell’arte moderna e padre dell’archeologia. E’ qui che si fermarono Elisa Bonaparte Baciocchi (con il nome di Contessa di Compignano) e suo fratello Girolamo Bonaparte (che si faceva chiamare Conte di Harz) nella notte tra il 6 e il 7 agosto 1814, accolti da Joseph Labrosse, prima di prendere la via delle Province venete. All’alba dell’8 agosto Girolamo ed Elisa si misero in viaggio verso Udine: la Granduchessa di Toscana aveva le prime doglie e si rifugiò nel castello di Passariano, dove nacque Felice Napoleone Baciocchi. Metternich vietò alla coppia di proseguire il viaggio verso l’Italia e così Girolamo rientrò a Trieste, nella Locanda Grande, la sera del 15 agosto, dove il 20 venne raggiunto dalla moglie Caterina di Württemberg, giusto in tempo per dare alla luce il principino Girolamo nella Casa Romano. Fu ospite della Locanda Grande anche Carolina Murat il 30 luglio 1823, dopo la fucilazione del marito Gioacchino Murat a Pizzo Calabro, con il nome di Contessa di Lipona, anagramma del regno che rivendicò fino all’ultimo giorno della sua vita. Dei tre fratelli di Napoleone che scelsero Trieste quale luogo del proprio esilio, solamente Elisa lo fece volontariamente, e in maniera attenta scelse le case da acquistare e gli investimenti da fare: inizialmente acquistò dal fratello Casa Duma (sorgeva in piazza della Repubblica, dove oggi si trova la Banca Commerciale Italiana), per poi spostarsi sul colle di San Vito in quella che è stata conosciuta come Villa Murat (essendo stata Carolina l’ultima abitante del palazzo abbattuto all’inizio del secolo scorso), e contestualmente dedicarsi alla sistemazione della tenuta di Villa Ciardi a Villa Vicentina dove morì. Questa villa, molto amata da Elisa, dalla figlia e dal nipote, fu venduta a Napoleone III che vi ospitò Louis Pasteur per i suoi esperimenti sui bachi da seta.
PIAZZA ATTILIO HORTIS Nel 1813 venne abbattuto l’antico convento dei Frati Minori per creare uno spazio urbano pubblico caratterizzato dal verde e da una zona d’acqua centrale. Nacque così Piazza Lutzen (dalla vittoria di Napoleone sui russo-prussiani nel 1813), che divenne poi Piazza Lipsia (per onorare la vittoria della Coalizione contro Napoleone cinque mesi dopo), ma che non ha alcuna zona d’acqua al centro, almeno non visibile. Sulla piazza si affaccia Palazzo Biserini, costruito nel 1802 e sede dell’Intendenza francese tra il 1809 e il 1813. E’ qui che lo scrittore francese Jean Charles Emmanuel Nodier, direttore della Biblioteca Civica pubblicò il periodico Télégraphe officiel des provinces Illyriennes. Lasciata Trieste, Nodier la ricordò per anni, tanto da ambientarvi due dei suoi romanzi, Jean Sbogar del 1818 e Mademoiselle de Marsan del 1832. La Biblioteca Civica conserva un piccolo trattato di morfologia latina manoscritto dal Delfino di Francia (figlio di Luigi XVI e Maria Antonietta) oltre a corrispondenza privata dello stesso Napoleone.