L'Istria nel periodo napoleonico
Sotto l'Austria (1797 - 1805)
Per l’Istria, le vicende della Repubblica di San Marco non furono prive di ripercussioni. Già prima della sua fine ingloriosa, quando le truppe del generale Napoleone Bonaparte durante la prima campagna d’Italia penetrarono nel Veneto neutrale, gli istriani avevano offerto sostanze e vita per la difesa di Venezia.
La Serenissima però non aveva opposto resistenza ai francesi, che con la scusa di vendicare i morti delle Pasque veronesi e l’assalto portato dalla nave di Cattaro “Annetta Bella” alla squadra francese penetrata nella acque del Lido di Venezia, le avevano dichiarato guerra il primo maggio e fatta cadere il 12 maggio.
Proclamata la Repubblica democratica a Venezia, molte cittadine istriane avevano aderito all’invito di nominare a loro volta municipalità democratiche, per legami di fedeltà alla ex Dominante, ma in giugno già si diffondeva la voce che in Istria stavano penetrando truppe austriache. A Capodistria, Isola e Cherso ci furono dei tumulti popolari contro i nobili sospettati di tramare a favore dell’imperatore d’Austria per non perdere le loro prerogative di governo aristocratico. A Capodistria la rivolta fu sedata a fatica da Nicolò de Baseggio che convocò nel Duomo popolo, clero e nobili perché giurassero fedeltà alla Repubblica.
A Isola venne ucciso il podestà Nicola Pizzomano e furono saccheggiate le case dei notabili cittadini. A Cherso, dopo l’attentato ad Antonio Bernardin Petris, il conte veneto Ottaviano Bembo riuscì a scongiurare una carneficina, consentendo il trapasso dei poteri al capitano austriaco che era venuto ad occupare l’isola.
Se tradimento ci fu, esso non fu consumato dai patrizi istriani, bensì da Napoleone stesso che già ad aprile, nei Preliminari di Leoben, aveva trattato segretamente col nemico e per ottenere la Lombardia e i Paesi Bassi, aveva barattato la cessione del Veneto, dell’Istria e della Dalmazia agli austriaci, i quali, pochi giorni dopo i fatti di Capodistria, procedettero ad occupare l’intera Istria, in nome di Sua Maestà Imperiale Apostolica per “preservare la Provincia dai tristi effetti della totale sovversione”, come proclamò solennemente il commissario imperiale Raimondo conte di Thurn, insediandosi a Capodistria, e precisando che “incorrerebbe irremissibilmente i più severi castighi chiunque osasse in qualunque modo opporsi alle misure benefiche di detta Sua Maestà”.
L’occupazione provocò numerose proteste, sia da parte della Municipalità provvisoria di Venezia che la considerava “fatale alla libertà di tutti i popoli di Italia”, sia da parte dell’incaricato d’affari del Re di Sardegna che denunciò più di una volta il “danno rovinoso e fatale“ per Venezia della perdita dell’Istria e della Dalmazia. Anche l’organo della Repubblica Cisalpina, che aveva sede a Milano, nata in seguito alla Campagna d’Italia napoleonica, invitò il “cittadino” generale Bonaparte ad evitare tale cessione.
Gli stessi plenipotenziari francesi (Napoleone e Clarke) protestarono ipocritamente contro la violenta occupazione austriaca, che però di fatto fu suggellata dal Trattato di Campoformido dell’ottobre 1797, con cui la Repubblica francese cedeva, in cambio del riconoscimento della Repubblica Cisalpina, non solo l’Istria e la Dalmazia, ma parte del Veneto e la stessa città di Venezia.
L’Austria coglieva così il frutto della sua secolare politica di dominio in Adriatico. Con la fine della Serenissima, il porto franco di Trieste era senza rivali e la flotta veneziana con i suoi marinai istriani e dalmati passava all’I. R .Governo asburgico.
La delusione e l’amarezza provocate nei patrioti italiani che avevano creduto nei principi di libertà proclamati dalla rivoluzione francese sono ben espressi da Ugo Foscolo che fa dire all’infelice protagonista del suo romanzo le Ultime lettere di Jacopo Ortis : “Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppur ne sarà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure e la nostra infamia”.
L’Istria ex veneta non fu aggregata all’Istria austriaca, ma venne retta da un governo provvisorio con sede a Capo d’Istria e con a capo il conte Filippo de Roth, ben visto dagli uomini e adorato dalle donne, come riportano le cronache. Egli si comportò in modo saggio ed equilibrato procedendo molto cautamente nelle riforme in campo amministrativo e giudiziario e rispettando i costumi del luogo che dimostravano attaccamento all’antico governo veneziano, come la festa di San Marco, abolita dalle municipalità democratiche del Veneto fin dall’aprile del 1797 e mantenendo intatti i simboli della Serenissima, quei leoni marciani che invece erano stati scalpellati nella terraferma veneziana.
La novità più sgradita per gli istriani fu quella della presenza di truppe straniere, simbolo della perduta autonomia. Si ha notizia di contrasti violenti con la popolazione almeno fino al 1800, di processi ed esecuzioni per “invettive”, “baruffe”, “schioppettate contro le sentinelle della cesarea regia milizia”. Il patibolo sempre presente nella piazza di Capodistria, fu tolto, nel giugno del 1798, solo “per maggior comodo della sacra solenne processione del Corpus Domini”.
Sotto l’influenza francese intanto l’Italia andava costellandosi di Repubbliche, con la cacciata dei legittimi sovrani. Nel 1802 alla Repubblica Cisalpina subentrò la Repubblica Italiana che ebbe come vice presidente il nobile milanese Francesco Melzi d’Eril.
Due anni dopo Napoleone, divenuto Imperatore, trasformò tale Repubblica in Regno, cingendo la corona ferrea dei Re d’Italia, secondo l’antica tradizione degli imperatori del Sacro Romano Impero medioevale.
Viceré fu nominato il suo figliastro Eugenio di Beauharnais.
Regno d’Italia (1805-1809)
Dopo Austerlitz, con la Pace di Presburgo (20 dicembre 1805) Napoleone divenuto ormai Imperatore dei Francesi e Re d’Italia, riparò al male che aveva fatto ai poveri Veneti e aggregò al suo Regno d’Italia Venezia e gli stati della cessata repubblica di San Marco, comprese l’Istria e la Dalmazia, ceduti a Campoformido. Così da Schönbrunn (Vienna) comunicò al Viceré Eugenio de Beauharnais, la firma del trattato, ordinando che essa fosse annunciata al suo popolo d’Italia con una salva di sessanta colpi di cannone. A Capodanno del 1806 vennero diffusi proclami trionfalistici a firma del Principe Eugenio ai “Popoli del Regno d’Italia e degli Stati Veneti” in cui si affermava fra l’altro che “rinasce il gran Secolo d’Italia” e che “la vostra Patria ritroverà l’antica sua gloria aumentata da tutto lo splendore, che si sparge all’istante del suo risorgimento e che accompagnerà fino negli ultimi secoli il nome del suo nuovo Fondatore”.
Per ricordare l’impresa della conquista dell’Istria, Napoleone fece anche coniare una medaglia nella quale la facciata del tempio di Augusto a Pola doveva celebrare il trionfo dei suoi eserciti e della sua politica.
Con rapido Decreto (aprile 1806), l’Istria e le Province venete furono organizzate come nel resto del Regno, sul modello francese, in sette Dipartimenti (Verona, Padova, Vicenza, Treviso, Udine, Belluno e Istria) mentre la Dalmazia sarebbe stata retta da un Provveditore. Il Dipartimento dell’Istria fu diviso in due distretti (Capodistria e Rovigno) e questi in sette cantoni e 23 comuni. Nel Regno italico era prevista una certa autonomia comunale, imperniata sui Podestà, chiamati “maires” alla francese, su un certo numero di consiglieri detti Savi, e sul Consiglio Municipale.
A capo del Dipartimento d’Istria fu instaurato un Governo provvisorio che aveva sede a Capodistria, con presidente l’avvocato dalmata Angelo Calafati (in seguito Prefetto) che aveva già ricoperto incarichi a Capodistria senza però ricevere l’agognata aggregazione al Maggior Consiglio della città. Egli abilmente procedette a un’amalgama politica evitando ogni estremismo democratico e cancellando nel contempo ogni velleità di predominio della vecchia classe aristocratica. Il Calafati promosse un’opera di modernizzazione, con progettazione di opere pubbliche, come una nuova via (Corso Eugenio) a Capodistria e governò con pugno di ferro e un certo arbitrio personale, provocando anche arresti e dimissioni di funzionari pubblici, tanto che venne presa in considerazione dalle autorità di Milano la sua rimozione dall’incarico.
Rispetto all’ultimo periodo della Serenissima ci fu indubbiamente un processo di ammodernamento, con l’estensione al territorio istriano delle leggi fondamentali del Regno d’Italia, la moneta francese, il Concordato con la Santa Sede, la riorganizzazione del sistema giudiziario e l’introduzione del Codice Civile che comportava il rispetto dei principi fondamentali della rivoluzione francese quali l’uguaglianza di fronte alla legge, la libertà di coscienza, l’abolizione dei vincoli feudali, pure insistendo sul concetto che la proprietà fosse un diritto assoluto, inviolabile e sacro. Altre novità furono la registrazione degli Atti presso l’Ufficio del Registro, l’introduzione del matrimonio civile e del divorzio anche se, in ambito maritale, veniva ribadita l’autorità dell’uomo sulla donna.
Furono sciolte le Confraternite e i Fondaci, con l’incameramento dei loro beni da parte del demanio, furono ridotti drasticamente gli ordini religiosi, tanto che in Istria vennero soppressi una dozzina di Conventi, fra i quali quello dei Domenicani di Capodistria che aveva ospitato il Tribunale di inquisizione e la cui chiesa divenne stalla per i cavalli dei francesi. Nel campo dell’istruzione fu incoraggiata la creazione di una rete di scuole primarie per favorire l’alfabetizzazione, e a Capodistria il collegio giustinopolitano, il cosiddetto Collegio dei nobili retto dai Piariti, divenne un vero e proprio Liceo che doveva assicurare l’accesso all’Università.
In campo militare fu istituito il Battaglione Reale d’Istria, dapprima su base volontaria, attingendo ai vecchi reparti delle cernide venete, in gran parte poveri contadini, i quali scoraggiati forse dalla rigida disciplina militare francese, disertarono in massa, per cui si dovette procedere all’arruolamento obbligatorio (leva di terra e di mare) fra gli abitanti delle cittadine. A onor del vero bisogna dire che anche nel resto del Regno d’Italia la renitenza alla leva fu sempre altissima, tanto che fra il 1806 e il 1809 si registrarono 22.000 refrattari e 18.000 disertori.
I coscritti istriani, in numero di 670, con la divisa verde e i pantaloni grigi, avevano il compito prevalente di vigilare sulle coste, ma alcuni dovettero combattere in Carinzia e in Tirolo e in seguito, aggregati ai reggimenti italici, partecipare alla sanguinosa campagna di Spagna dove subirono fortissime perdite. Il Corpo dei Veliti, reparto scelto di sottoufficiali appartenenti alla borghesia addestrati a Milano, partecipò a tutte le campagne del Viceré Eugenio (1809, 1912, 1813).
La costituzione della Guardia nazionale (civile) fu invece avviata in ritardo e allo scoppio della nuova guerra franco-austriaca del 1809 era ancora in fase di addestramento. Quando reparti della Landwher penetrarono nella provincia dai territori contermini austriaci, solo a Capodistria essa intervenne a difesa della città, prima di arrendersi dopo un breve bombardamento. L’esercito asburgico in aprile aveva sferrato una profonda offensiva in Veneto battendo il Vicerè d’Italia e da Trieste fu proclamata l’unione dell’Istria veneta all’Austria con la riconferma dei podestà e delle autorità locali che avessero voluto collaborare. ll prefetto Calafati si diede prigioniero, mentre il Vice prefetto Giuseppe Vergottini rinunziò al suo incarico. Rivolte popolari antifrancesi scoppiarono a Pola, Pinguente e soprattutto a Rovigno, a causa del malcontento suscitato dallo stato di guerra e dai danni provocati al commercio dalle navi inglesi e corsare che, dopo il Blocco continentale proclamato da Napoleone contro l’Inghilterra davano battaglia in Adriatico e predavano e incendiavano le imbarcazioni di mercanti e pescatori. Le insegne imperiali degli Asburgo sostituirono quelle napoleoniche, mentre in Adriatico la flotta inglese, austriaca e corsara incrociava al largo.
In luglio però Napoleone riportò la risolutiva vittoria di Wagram, cui seguì un lungo armistizio, che in Istria fu caratterizzato da grandi incertezze con la ricomparsa e poi la fuga del Calafati e una vasta sollevazione, una vera e propria jacquerie antifrancese a Rovigno e nella Polesana capeggiata dal sedicente Conte di Montichiaro. Ma si era ormai in ottobre, fuori tempo massimo, perché nel frattempo (14 ottobre) veniva firmata la Pace di Vienna. I capi della rivolta furono arrestati e fucilati con l’accusa di brigantaggio.
Napoleone da tempo vagheggiava la conquista di Trieste e dei territori limitrofi che interrompevano la continuità del Regno d’Italia fra il Friuli e l’Istria; con la Pace di Vienna ottenne non solo l’agognata città portuale e Il Goriziano, ma anche la Contea istriana di Pisino e altre vastissime terre tradizionalmente asburgiche che fecero estendere il suo Impero verso est e verso sud, dalla Sava e dall’Isonzo fino alla Bocche di Cattaro in Adriatico.
Province Illiriche (1809-1813)
Con il Trattato di pace di Vienna del 14 ottobre 1809, l’Austria cedeva a Napoleone la Contea di Gorizia, Trieste, la Carniola con le sue enclavi sul golfo di Trieste, il circolo di Villach (Carinzia) e tutti i territori situati alla destra della Sava fino alla frontiera con la Bosnia (cioè parte della Croazia civile e militare, Fiume e il Litorale ungherese, la parte di Istria già austriaca con tutte le isole dipendenti dai paesi ceduti).
Tutti questi territori, unitamente alla Dalmazia, costituirono le nuove Province Illiriche, considerate dall’imperatore francese ”una sentinella alle porte di Vienna per costringerla a comportarsi bene” e, mediante l’introduzione e il radicamento di dottrine, codici e amministrazione francese, ”un passo in più verso la rigenerazione europea”.
L’istituzione delle Province Illiriche, direttamente dipendenti dall’Impero francese, fu una costruzione piuttosto assurda, che univa regioni come l’Istria e la Dalmazia già inquadrate nell’amministrazione napoleonica e altre fino ad allora governate dall’Austria. Le Province erano per di più assai disomogenee per cultura, lingua, storia, struttura sociale ed economica, con realtà assai arretrate come la Croazia militare e alcuni territori slavi o tedeschi dove il feudalesimo era ancora molto radicato, e realtà, come quella di Trieste, dove vigeva un'economia notevolmente sviluppata. Per la prima volta dopo quattro secoli, inoltre, l’Istria ex veneta si ritrovò unita all’Istria austriaca, la cosiddetta Contea di Pisino (dominio della casa d’Austria dal 1374) e a Trieste (comune datosi all’Austria nel 1382) e questa aggregazione fu foriera di rilevanti conseguenze nel futuro.
Le Province Illiriche ebbero sede a Laybach-Lubiana e furono organizzate in numerose Intendenze dipendenti dai Ministeri di Parigi e affidate al Maresciallo Marmont, nominato duca di Ragusa, ottimo generale ma con scarsi doti di statista. La lingua ufficiale della burocrazia era il francese, ma a livello locale la lingua impiegata rimase l’italiano; italiana rimase pure la toponomastica dell’Adriatico orientale (Spalato, Zara, Lissa, Lesina, ecc.).
Il Calafati allontanatosi da Capodistria nel 1810, non vi fece più ritorno, lasciando l’amministrazione dell’Istria veneta a Giuseppe Vergottini, che la resse per un anno, disponendo di scarse risorse finanziarie.
Il Governo Illirico, per impinguire le misere entrate della nuova compagine dovette aumentare la pressione fiscale, imponendo l’imposta fondiaria (fino ad allora sconosciuta nell’Istria veneta) e tasse personali e sulle professioni. Fu istituito anche l’impopolare “prestito Marmont”, che le famiglie più ricche dovettero sottoscrivere. Per di più, con la nascita del nuovo confine fra il Regno italico e le Province illiriche francesi, si venne a creare un ulteriore balzello, il dazio doganale sulle esportazioni e importazioni con Venezia e la penisola italiana.
Implacabile nella repressione del brigantaggio in Illiria, il Marmont lo eliminò anche in Istria, adoperando strumenti molto duri, la legge marziale, con fucilazioni dei malviventi e coinvolgimento dei villaggi da cui essi provenivano, costringendo gli abitanti a pagare riscatti o a fornire ostaggi. Sia il territorio fra Rovigno e Pola sia la Ciceria furono “ripuliti” e il fenomeno del brigantaggio, endemico in Istria, non si ripresentò per tutto il periodo francese.
Oltre all’intento anti-asburgico, nella mente di Napoleone le Province Illiriche dovevano costituire un dominio in funzione anti-inglese in difesa del blocco continentale contro l’Inghilterra proclamato fin dal 1806. Invece l’Adriatico fu dominato dalla flotta inglese, che aveva base a Malta e il blocco si ritorse contro l’economia di Francia e Italia per l’asfissia dei commerci in seguito alla interruzione delle comunicazioni marittime. Particolarmente colpita fu Trieste, che era stata per di più separata dall’Austria, e che registrò un crollo demografico (scese a tredicimila abitanti). Si fece solo piccolo cabotaggio e fu alimentato notevolmente il contrabbando che sembra non venisse molto contrastato, anche perché nella flotta inglese militavano numerosi transfughi adriatici.
A difesa delle cittadine costiere minacciate dalle incursioni dei legni inglesi venne rafforzata la Guardia Nazionale formata da cittadini abili al servizio, addestrati all’uso del fucile e del cannone. A Pola furono aggiunte due compagnie di artiglieri dell’esercito regolare. La Guardia Nazionale era equipaggiata a spese del Comune e, quando un distaccamento si trovava ad operare fuori dalla propria circoscrizione, gli ufficiali erano tenuti a sottoscrivere dei buoni per il rimborso dei viveri forniti alla truppa. Dopo il bombardamento di alcune località da parte degli inglesi, tale corpo diede buona prova di sé nella difesa delle coste e nella protezione delle imbarcazioni che facevano cabotaggio.
Nel 1811 vi era stata una ristrutturazione delle Province Illiriche, con un assetto meglio definito e più snello (Statuto del 15 aprile) e la creazione della “Province de l’Istrie”, con l’Intendenza Generale a Trieste, che comprendeva Gorizia, Trieste, l’Istria (veneta e austriaca) e parte del Carso Triestino. L’Istria era divisa in due subdelegazioni con sede, per la parte settentrionale, a Capodistria e, per la parte meridionale e la Contea di Pisino, a Rovigno.
Destituito il Marmont, venne nominato al suo posto il generale Bertrand. Venne istituita anche una flotta “illirica”, di fatto formata di poche unità costiere, di cui dovevano fare parte anche coscritti istriani, già da tempo arruolati nella marina italica. Negli scontri in Adriatico la flotta franco-Italica ebbe scarsa fortuna, come nella battaglia di Lissa avvenuta nel marzo del 1811 in cui morì per le ferite riportate il comandante Duodo della fregata Bellona e le navi scampate dovettero rifugiarsi ad Ancona e a Venezia.
Obbligati a fornire i contingenti militari necessari alle campagne napoleoniche, gli istriani renitenti alla leva venivano perseguiti severamente. Si susseguivano i rastrellamenti e per impedire la diserzione fu istituita fin dal 1812 la “carta di domicilio” obbligatoria per chi volesse spostarsi fuori dal proprio Comune.
Fra le realizzazioni positive, va menzionata la costruzione di una strada da Trieste verso il Levante attraverso la Croazia e la Bosnia per il traffico commerciale via terra, che diede un po’ di respiro all’economia.
Intanto la stella di Napoleone si avviava al tramonto. Dopo la disastrosa campagna di Russia del 1812, poco prima della sua sconfitta nella “battaglia delle Nazioni” a Lipsia nell’ottobre del 1813, in Istria già a settembre ci furono scontri fra francesi e austriaci aiutati da “insorgenti”. La Guardia nazionale di Capodistria si arrese, anche per la presenza di due navi da guerra inglesi. Il 13 ottobre, gli austriaci occuparono Trieste dove i francesi resistettero fino al 25.
Il maresciallo Lattermann fu nominato governatore civile e militare dell’Illirico il 17 ottobre. I francesi ripassarono le Alpi, la Lombardia tornò ad essere austriaca e in tutta Italia iniziò la restaurazione degli antichi regimi. Il Veneto, l’Istria e la Dalmazia furono definitivamente assegnate all’Impero asburgico con il Congresso di Vienna nel 1815.
Liliana Martissa Mengoli