Napoleone a Trieste

La mattina del 29 aprile, cavalcando un bianco destriero, Napoleone Bonaparte fece il suo ingresso a Trieste.

L'arrivo di Bonaparte, che avvenne alle 6.30 circa, era stato preannunciato solo poche ore prima alle autorità cittadine dal comandante di piazza francese, Brechet, e l'abate triestino Giuseppe Mainati, diretto testimone di quei tempi, scrisse nella sue “Croniche” che “preceduto e scortato da 40 Usseri, smontò e prese alloggio nel palazzo del conte Pompeo Brigido”.

Il generale in capo dell'Armée d'Italie era accompagnato dai generali Alexandre Berthier, suo capo di stato maggiore, Henry Clarke, plenipotenziario per le trattative di pace, e nel seguito vi erano anche altri generali dai nomi destinati a divenire famosi, quali Joachim Murat e Jean Lannes. Gli “Usseri” citati come scorta erano le “Guide de l'Armée d'Italie”, una compagnia di cavalieri appositamente costituita per vegliare sulla sicurezza di Bonaparte, ed effettivamente indossavano una divisa simile a quella degli ussari.

Oscar de Incontrera, storico triestino usualmente ben documentato, riferisce che appena giunto a Trieste il generale francese fece un bagno in acqua di mare, senza purtroppo fornire alcun particolare al proposito, ed in seguito ricevette il Vescovo di Trieste, Ignazio Gaetano de Buset, e i magistrati cittadini, e con tutti “si mostrò sommamente cortese e consolante”.

Nel pomeriggio Bonaparte, che ancora attendeva di conoscere ulteriori dettagli dell'insurrezione avvenuta nella terraferma veneta contro i Francesi, culminata con le Pasque Veronesi, e dell'attacco avvenuto nel porto del Lido al vascello Le Liberateur d'Italie, accettò di incontrare il console della Serenissima a Trieste, l'istriano Giovanni Battista Calegari, al quale al mattino aveva fatto negare il colloquio.

L'accoglienza fu molto severa: “Al console veneto, per due massacri di soldati francesi, uno seguito a Verona, l'altro al Lido di Venezia sopra un piccolo legno francese che vi si era ricoverato, ... spiegò... il suo sdegno contro la Repubblica Veneta, e la di lui collera lo mosse a proferire delle ingiurie contro i Veneziani, allontanando così da se vituperosamente il suddetto console”, e alla fine il console, che cercava di replicare, fu licenziato con le precise parole: “Taci, miserabile e vattene!”, pronunciate da Napoleone di fronte a tutti e riferite in un rapporto dal console di Spagna, don Carlos de Lellis, che si trovava tra i presenti.

Sempre nel pomeriggio, un rappresentante cittadino, Francesco Antonio Guadagnini, gli richiese un ulteriore ribasso alla contribuzione che era stata imposta alla città, ma Bonaparte disse di averlo già concesso, ed effettivamente lo aveva già deciso grazie alla precedente intercessione del console di Spagna, e alle insistenze del Guadagnini non diede più risposta: “il generale Bonaparte però, sorridendo, nulla gli rispose”.

Le autorità cittadine offrirono in dono al generale francese un bellissimo cavallo lipizzano, bianco come tutti i cavalli di quella razza, “non per ammirazione al grande capitano, né per affezione, ma per blandirlo”. e in serata giunse ai triestini la conferma scritta del ribasso della contribuzione, nei termini accordati.

Terminate le udienze, Bonaparte passò in rassegna le truppe francesi schierate in Piazza della Borsa e in PIazza Grande, e poi volle vedere il molo fortificato che proteggeva il porto: “Nelle 24 ore che il suddetto generale Bonaparte si trattenne a Trieste, fece una passeggiata verso il Lazzaretto vecchio, salutato con alquanti tiri di cannone dalle fregate francesi, ancorate nel porto”.

Camminando sul molo, Bonaparte domandò “se questo fosse il molo del quale ogni pietra aveva costato a Maria Teresa uno zecchino”, moneta di gran valore all'epoca, poiché si raccontava che durante la costruzione dle molo, intitolato a San Carlo, le pietre utilizzate, dopo essere state scaricate, venissero asportate di notte e riportate il giorno successivo come nuove forniture, riuscendo così a far pagare due volte ogni carico e facendo crescere enormemente il costo finale dell'opera.

Dopo essersi reso conto di persona della favorevole posizione geografica nella quale era poi stato costruito il porto di Trieste, Bonaparte scrisse al Direttorio che, prima di far evacuare la città dalle truppe, come prevedevano i Preliminari di Loeben, avrebbe desiderato far distruggere le installazioni portuali, ma una tale azione sarebbe stata inutile poiché “Mi sarebbero occorsi tre mesi per degradare i moli del porto di Trieste; e ancora non l'avrei distrutto, perchè il porto è semplicemente una rada”.

In serata, le autorità militari francesi fecero riaprire il Teatro San Pietro, dove fu approntata una sontuosa illuminazione in onore dell'ospite, ma Bonaparte, colpito da un improvviso attacco di mal di denti, non poté parteciparvi e cercç di alleviare il dolore facendosi praticare un salasso dal chirurgo Francesco Pellegrini. L'intervento non procurò alcun sollievo al generale in capo, e un anonimo cronista locale riferisce che il giorno dopo aveva ancora “un aspetto molto malaticcio”, anche se il medico raccontò poi, sino a tarda età e con orgoglio, l'intervento compiuto sul famoso condottiero.

Allo spettacolo teatrale si recarono tutti gli alti ufficiali francesi, ma pochi cittadini di Trieste che, fedeli sudditi della casa d'Austria, poco tempo prima, il 14 aprile, erano coraggiosamente insorti contro gli occupanti, grazie all'appoggio di alcuni soldati croati e dei paesani del Carso, costringendo le truppe francesi alla fuga dalla città, che venne rioccupata solo tre giorni dopo, senza ulteriori scontri e in ottemperanza all'armistizio all'epoca vigente tra i belligeranti.

Prima di partire da Trieste, Bonaparte scrisse varie lettere al Direttorio, fornendo spiegazioni su alcuni punti del Trattato di Loeben e giustificazioni alle critiche che gli erano giunte sulle modalità con le quali aveva condotto la campagna militare e stipulato i preliminari di pace a condizioni vantaggiose anche per l'Imperatore d'Austria e non solo per la Francia.

Nelle lettere, il comandante francese spiegò come avesse preferito concludere le ostilità piuttosto che affrontare le ingenti forze che in tutto l'Impero degli Asburgo si stavano organizzando contro il suo esercito, e che comunque, dalle posizioni che ancora occupava, l'Armée d'Italie era in grado di riprendere vantaggiosamente le ostilità in qualsiasi momento.

Riguardo a Venezia, Bonaparte annunciò che era giunto il momento di prendere una decisione definitiva verso il governo della Serenissima, dichiarando che attendeva ancora più precisi rapporti su quanto era successo, dopo i quali avrebbe punito in modo esemplare i responsabili delle aggressioni compiute ai danni dei Francesi: “Il massacro che essi hanno appena fatto del cittadino Laugier, comandante dell'avviso Il Liberatore d'Italia, è la cosa più atroce dle secolo... Darò gli esempi dei quali ci si ricorderà... Se il sangue francese deve essere rispettato in Europa, se voi volete che non se ne prenda gioco, bisogna che l'esempio su Venezia, sia terribile: ci occorre dle sangue; bisogna che il nobile ammiraglio veneziano che ha presieduto a questo assassinio sia giustiziato pubblicamente... Io parto immediatamente per Palmanova, da là per Treviso, e da là per Padova”.

Dalla corrispondenza intercorsa tra il Direttorio e Bonaparte, e anche in quella tra quest'ultimo e i diplomatici degli Asburgo con i quali aveva concordato le clausole dei preliminari di pace, era apparso chiaro già in precedenza che il territorio della Serenissima sarebbe stato spartito tra le due potenze belligeranti. Rimaneva da definire come e quando sarebbe avvenuta tale spartizione, e se essa avrebbe comportato la fine della secolare Repubblica di San Marco.

Le lettere di Bonaparte al Direttorio, scritte da Trieste e pubblicate nella seconda metà dell'Ottocento nella monumentale opera “Correspondance de Napoleon I”, recano tutte la data dle 30 aprile, e quindi furono probabilmente firmate poco prima della sua partenza dalla città, che avvenne in carrozza, o durante il viaggio verso Palmanova.

Paolo Foramitti

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