Itinerari francesi
In fuga dalla Rivoluzione francese e dal Terrore, alla ricerca di un luogo tranquillo dove approdare e ricostruirsi una vita, ma anche di passaggio per salutare amici o imbarcarsi sulle nuove rotte aperte dai traffici del Porto di Trieste, molti francesi hanno contribuito a far diventare questa piccola città all’estremo confine orientale d’Italia una capitale della storia e della cultura.
CASA DELLE BISSE (Via San Lazzaro 15) Una lapide all’ingresso ricorda la data di costruzione (1771, arch. Giovanni Bubolini) e narra come, in un momento di grande carestia d’acqua, si fosse ultimata la costruzione usando anche l’aceto. Il nome dell’edificio deriva dal gruppo allegorico che fa parte del complesso ornamentale centrale: un portale, dall’ampia arcata, ha ai lati due pilastri che si elevano fino alle mensole del poggiolo barocco: tre aquile (Austria, Prussia e Russia) scendono a bloccare e dilaniare un serpente (Napoleone) che si protende a ingoiare una palla appesa a un filo (le sue ambizioni di predominio sul mondo). Allegoria posta dal proprietario quando i Francesi, dopo aspra resistenza, furono cacciati dal Castello di Trieste (1813). Nell’infuriare del bombardamento tra mare e monte, una palla aveva colpito l’edificio: è conservata, infissa all’ingresso, con la scritta «hoc me ornamento Galli affecerunt MDCCCIX».
LOCANDA ALL’AQUILA NERA Nel luogo in cui fino al 1985 sorgeva l’Albergo al Corso è situata la Locanda All’Aquila nera, un albergo di second’ordine che ospitò Henry Beyle (Stendhal) al suo arrivo a Trieste nel 1830. Egli giunse a Trieste dopo una forte delusione sentimentale proprio mentre a Parigi veniva pubblicato Le Rouge et le Noir. Il 25 novembre del 1830 – alle sette di sera – entrò all’Hotel Zum Schwarzen Adler con in tasca le credenziali di Console di Francia a Trieste, ruolo che ricoprirà per soli tre mesi, fino a quando, con la nomina di Ambasciatore, potrà partire per Civitavecchia.
PALAZZO DELLA BORSA L’edificio che dà il nome alla piazza è la Borsa vecchia (ora sede della Camera di Commercio - arch. Antonio Mollari 1799-1806). Nelle nicchie che movimentano il frontespizio al pianterreno e al primo piano sono inserite statue allegoriche raffiguranti l’Asia, l’Europa, l’Africa e l’America, oltre a Vulcano e Mercurio. Più in alto, sul fastigio, altre sculture: il Genio di Trieste, Nettuno, Minerva e il Danubio (cui già da tempo era rivolta l’attenzione per un collegamento fluviale che avrebbe inserito il porto di Trieste nel sistema che collega capillarmente l’Austria, la Germania, la Francia settentrionale e i Paesi Bassi, oltre ai paesi orientali d’Europa). Si possono osservare poi dei puttini in scene rappresentanti il Commercio, la Navigazione, l’Industria e l’Abbondanza. Sul fronte dell’atrio si trova il grande orologio posto dal famoso orologiaio locale Antonio Sebastianutti, autore anche della Meridiana solare dell’ampia sala d’ingresso (23 settembre 1820). Scopo principale della Meridiana è permettere di sincronizzare i cronometri marini imbarcati sulle navi che partono da Trieste in modo da rendere possibile il calcolo esatto della longitudine, una volta in alto mare senza altri punti di riferimento. Attraverso un foro nella facciata dell’edificio della Borsa, il sole entra esattamente cinque minuti prima di mezzogiorno ed esce di scena dieci minuti dopo, tracciando un’ellisse dorata sul pavimento. E’ stato il triestino Paolo Alberi, esperto dell’arte gnomica, a svelare la particolarità della Meridiana della Borsa, accorgendosi che è centrata sull’equinozio d’autunno che venne scelto come inizio del calendario della Rivoluzione Francese. Si racconta che i Napoleonidi rifugiatisi a Trieste dopo la Restaurazione, accarezzando l’idea di far evadere Napoleone dall’Isola di Sant’Elena dove era stato recluso dagli Inglesi, avessero preso la Meridiana quale riferimento. Purtroppo il 5 maggio 1821 Napoleone morì, prima che il piano si potesse applicare.
TEATRO GIUSEPPE VERDI Su piazza Giuseppe Verdi si affaccia l’omonimo teatro sorto, dopo la scomparsa del vecchio Teatro San Pietro, per intraprendenza di Matteo Giovanni Tommasini, negoziante di borsa console di Toscana. Fu inaugurato il 21 aprile 1801 e all’inizio ebbe il nome “Nuovo”, poi “Grande”, e ancora, “Comunale”, finché nel 1901 fu intitolato a Giuseppe Verdi. Sulla facciata ci sono ben cinque palle di cannone da 32 libbre, ricordo dell’ultima battaglia dei Francesi nel 1813. In questo teatro si esibì nel 1816 – dall’1 al 5 settembre – Niccolò Paganini, che mandò in visibilio il pubblico. A questo soggiorno del celebre musicista sono legati diversi racconti su un suo incontro con quella che fu la Granduchessa di Toscana, Elisa Baciocchi, con cui ebbe una lunga e proficua relazione. Celebri gli amori, sbocciati o mancati, tra i Francesi a Trieste e le attrici e cantanti del Teatro: Girolamo ebbe una lunga storia con l’attrice Rosa Pinotti conosciuta nel 1815, mentre Stendhal si innamorò – non ricambiato, pare – della cantante primadonna Carolina Ungher. (www.teatroverdi-trieste.com)
LOCANDA GRANDE La Locanda Grande, l’albergo più importante del tempo (rimasto famoso soprattutto per la morte del grande archeologo tedesco Giovanni Winckelmann, padre del neoclassicismo) sorgeva dove oggi si incontra il Palazzetto ex Vanoli (arch. Eugenio Geiringer e Giovanni Righetti, 1873). Il palazzo, eretto per volontà del Comune tra il 1727 ed il 1732, ospitava l’Osteria Grande che successivamente fu restaurata e ampliata assumendo la denominazione di Locanda Grande fino al 1847, anno della demolizione. E’ qui che si fermarono tra il 6 e il 7 agosto 1814 Girolamo Bonaparte (con il nome di Conte di Hartz) e la sorella Elisa Baciocchi (con il nome di Duchessa di Campignano).
PALAZZO BRIGIDO Al numero 1 di via Pozzo del Mare (all’epoca si affacciava direttamente sulla piazza), c’è il Palazzetto Brigido (arch. Giovanni Fusconi, 1735), che accolse nella sua unica visita a Trieste il giovane Comandante in Capo dell’Armée d’Italie Napoleone Bonaparte, nella notte tra il 29 e il 30 aprile 1797. La sua fugace permanenza è testimoniata da una targa. Il conte Pompeo Brigido, Governatore di Trieste, è ricordato anche per essere stato tra coloro che accolsero le Mesdames di Francia, Adelaide e Vittoria, figlie di Luigi XV, in fuga dalla Rivoluzione. Le occupazioni francesi della città di Trieste furono tre: la prima rapidissima nel 1797 finì con la firma del Trattato di Campoformido; la seconda brevissima tra la fine del 1805 e il marzo del 1806 si concluse a seguito della Pace di Presburgo; la terza è decisamente la più lunga e si protrasse tra il maggio del 1809 e il novembre del 1813 a seguito della Pace di Schönbrunn. E’ durante la terza occupazione che vennero create le Province illiriche con capitale a Lubiana, la cui fine avvenne con lo scontro tra l’esercito francese e quello austriaco (supportato dalla flotta inglese), che lasciò numerose testimonianze sui muri della città.
ROTONDA PANZERA All’incrocio tra via San Michele e via Felice Venezian si incontra Casa Panzera (arch. Matteo Pertsch, 1818), progettata per il magistrato friulano Domenico Panzera, stabilitosi a Trieste alla fine del Settecento. La casa, impreziosita all’interno dagli affreschi di Giuseppe Gatteri e all’esterno dai fregi di Antonio Bosa che raccontano tre episodi della storia romana (Coriolano, Lucrezia, Orazi e Curiazi), ospitò un’importante loggia massonica. Esiste infatti l’accesso a un sotterraneo oggi interrotto da murature di fondazione di edifici posteriori, che si favoleggia che al tempo avesse collegato la casa a un’uscita sul colle, dopo essere passato sotto la chiesa dei Gesuiti. E’ nei periodi di occupazione francese che a Trieste sorsero le logge massoniche (esisteva anche la Loggia Alla Vedovella, retta da Emilio Baraux e ospitata nel tempio sotterraneo di una bella e lussuosa villa di Scorcola): il Tempio di via San Michele era composto da un’ampia sala circolare posta diversi metri sotto al piano stradale e – secondo alcune descrizioni dell’epoca – presentava la volta celeste e lungo le pareti i segni dello zodiaco; in questa stanza ci sarebbe stato anche un palchetto con tre gradini dove si trovava anche il seggio del Maestro Venerabile, mentre le salette vicine probabilmente ospitavano la “Stanza dei passi perduti” e il “Gabinetto di Riflessione”. La Loggia venne chiusa dalla Polizia austriaca nel 1820.
PALAZZO VICCO Il Palazzo, attuale sede del Vescovado, arricchito da un elegante poggiolo dalla linea quasi rococò con fanali in ferro battuto, è il luogo dove visse i suoi ultimi anni e si spense Joseph Fouché, ministro di Polizia durante la Rivoluzione francese che ebbe un ruolo di primo piano nella repressione della Vandea e come governatore delle Province Illiriche. Scelse il sole di Trieste per il suo esilio, richiamato qui da Elisa Bonaparte: passeggiò lungo il Boschetto, scoprì il Carso, frequentò la Cattedrale di San Giusto, dove venne sepolto per oltre cinquant’anni, e pregò alla Beata Vergine del Soccorso fino a quando morì alla Vigilia di Natale del 1820. Diverse storie e una leggenda accompagnano la fine di Fouché: i suoi canarini morirono per i fumi levatisi dalle stufe che bruciavano le carte segrete che portava con sé dall’epoca della Rivoluzione, e il suo carro funebre fu rovesciato dalla Bora sulla strada verso San Giusto da dove sarà traslato in Francia per opera di Emile Combes, il Presidente del Consiglio più controverso della Terza Repubblica.
SANT’ANTONIO VECCHIO E’ la chiesa, accanto a Palazzo Vicco, frequentata da Joseph Fouché. La chiesa, di cui esistono tracce risalenti al 1200, fu consacrata alla Beata Vergine del Soccorso nel 1776, ed è il luogo ove si racconta Fouché si inginocchiasse davanti a quelli che aveva sempre considerato “i ridicoli emblemi della superstizione”.
BIBLIOTECA CIVICA Quella che oggi è la sede della Biblioteca Civica è un edificio costruito nel 1802 (arch. Giovanni Bubolini) per la famiglia de Mohrenfeld. Nel 1804 fu ceduto ad Antonio Biserini (di cui porta ancora oggi il nome) , parente di Cassis Faraone. Sin dal 1807 si pensò di aprirvi un’accademia di commercio e nautica, ma l’occupazione francese rinviò l’attuazione del progetto trasformando il palazzo nella sede dell’Intendenza napoleonica e vi si stabilirono i suoi titolari, Lucien Emile Arnault e il barone Angelo Calafati (1809-1813). Nel 1813, inoltre, venne abbattuto l’antico convento dei Frati minori per creare uno spazio urbano caratterizzato dal verde e da una zona d’acqua centrale. Nacque così Piazza Lutzen (per celebrare la vittoria di Napoleone sui russo-prussiani nel 1813), che divenne in seguito Piazza Lipsia (per ricordare la vittoria della coalizione contro Napoleone cinque mesi dopo). E’ a Palazzo Biserini che lo scrittore francese Jean Charles Emmanuel Nodier pubblicò il periodico Télégraphe Officiel des provinces illyriennes. Lasciata Trieste, Nodier la ricordò ambientandovi due dei suoi romanzi, Jean Sbogar del 1818 e Mademoiselle de Marsan del 1832. Interessante il fatto che alla Biblioteca Civica siano conservati stralci della corrispondenza di Napoleone Bonaparte e anche un piccolo trattato di morfologia latina manoscritto dal Delfino di Francia, figlio di Luigi XVI e di Maria Antonietta.
MUSEO SARTORIO L’eclettica villa della fine del Settecento appartenne alla famiglia Sartorio che le vicende commerciali avevano portato in città dalla nativa Sanremo. Reminescenze venete dell’impianto palladiano sono ancora riscontrabili nella pianta della villa dopo i restauri eseguiti tra il 1820 e il 1838 da Niccolò Pertsch. Oggi è la sede di un museo civico con una ricca collezione di gessi: gli esemplari più antichi della collezione sono quattro calchi di opere di Antonio Canova, realizzati dall’artista stesso. Si tratta del busto di Napoleone Bonaparte, dei ritratti di Carolina Bonaparte Murat e di Gioacchino Murat (le cui realizzazioni in marmo sono oggi perdute) e l’autoritratto di Canova stesso. Recentemente, inoltre, è stato acquisito dal museo un servizio da colazione da campo in porcellana di Parigi, dono di Napoleone a un suo ufficiale. (Largo Papa Giovanni XXIII, 1 – museosartoriotrieste.it)
MUSEO REVOLTELLA L’edificio, che sorgeva a poca distanza dal mare, era la dimora del barone Pasquale Revoltella, una delle figure più rappresentative della Trieste dell’Ottocento. Il palazzo originario, un’elegante costruzione neorinascimentale di tre piani, edificata tra il 1854 e il 1858 su progetto del berlinese Friedrich Hitzig, si affaccia su piazza Venezia. Ebbene, nel Museo che racconta l’imprenditorialità di Trieste e l’espansione della città si trovano le tracce dei legami con la Francia. Il massimo impegno del barone fu dato a sostegno dell’apertura del Canale di Suez grazie alla sua nomina a vicepresidente della Compagnia parigina cui la città di Trieste conferiva i capitali della Banca Rotschild e i finanziamenti della borghesia per aprire le vie dell’Oriente al Lloyd Austriaco. Per essere pronti all’aumento dei traffici i triestini affidarono al francese Paulin Talabot la progettazione del Porto Vecchio. Sempre più legata al resto d’Europa, la città divenne meta di viaggiatori provenienti dalla Francia, e fra questi quel Louis François Cassas che diverrà il “ritrattista dell’Adriatico”. Al Museo Revoltella si possono ammirare il marmo di Lorenzo Bartolini raffigurante l’erma del principe Felice Baciocchi (consorte di Elisa) e due opere in gesso raffiguranti Napoleone, una di Antonio Canova e l’altra di Jean Antoine Houdon. ( via Diaz, 27 - www.museorevoltella.it)
CATTEDRALE DI SAN GIUSTO Nel medioevo affondano le loro origini il castello, la cattedrale e gli edifici a lato (il Battistero di San Giovanni, la Chiesetta di San Michele al Carnale). La cattedrale, ingentilita dal rosone della fine del ‘300, ha una navata centrale con soffitto trecentesco in legno dipinto mentre ai lati si susseguono le cappelle dove trovarono sepoltura, seppur breve, realisti e napoleonidi in fuga. Dapprima fu la volta delle Mesdames di Francia, Adelaide e Vittoria: decedute a Trieste, le figlie di Luigi XV riposarono nella Cattedrale fino a quando i loro resti vennero riportati in Francia da Luigi XVIII durante la Restaurazione borbonica e sepolti nell’Abbazia di Saint-Denis. Davanti alla porta laterale destra (guardando l’altare maggiore) giace sul pavimento una lapide su cui è posta la dedica: “Qui riposano le salme di LUISA VITTORIA + MDCCIC e MARIA ADELAIDE + MDCCC di BORBONE, MESDAMES DE FRANCE figlie di Luigi XV – Trasportate in Francia nel MDCCCXIV”. Fu poi la volta di Elisa Bonaparte che venne accolta nella Cattedrale sul colle della città che aveva scelto come luogo del proprio esilio: il marito portò poi i suoi resti nella Basilica di San Petronio a Bologna. Toccò poi a Joseph Fouché morire a Trieste e trovare riposo nella Cattedrale, da cui venne prelevato oltre mezzo secolo dopo da Emile Combes, futuro presidente del Consiglio della Terza Repubblica. Intanto a Trieste riposano (ricordati da una lapide posta sui muri della Cattedrale) anche Joseph Labrosse e Paul Morand, seppure “esiliato” nel cimitero greco-ortodosso molti anni dopo.
CASTELLO DI SAN GIUSTO Il Castello di San Giusto è il più appariscente monumento medievale della città, la cui costruzione si protrasse dal 1470 al 1630. Eretto sul colle, costituì il punto di raccordo e conclusione della cerchia murata entro la quale si era sviluppato l’antico borgo, adagiato sul declivio verso il mare. Nel 1813 le truppe napoleoniche tentarono dal Castello di San Giusto l’estrema difesa: asserragliate al suo interno, resistettero quattordici giorni ai cannoneggiamenti dal mare della flotta austriaca, inglese e napoletana. Alla fine della terza occupazione francese sono legati i ricordi lasciati dalle palle di cannone disseminate sugli edifici cittadini, lo sbarco dei marines (gli inglesi comandati dall’ammiraglio Hewett Fremantle) sulla spiaggia di San Vito (dove c’era un forte), la leggenda del tesoro abbandonato. (www.castellodisangiustotrieste.it)
CASTELLO DI MIRAMARE Il Castello (www.castello-miramare.it), con le sue bianche torri, emerge da uno spuntone di roccia proteso sul mare. Costruito tra il 1856 ed il 1860 per volontà di Massimiliano d’Asburgo dall’architetto Carl Junker, conserva al primo piano il letto a colonnine dono di Napoleone III e il ritratto firmato da Pierre-Désiré Guillemet (1850 circa). Fu Napoleone III a sigillare a Plombières l’accordo con Cavour per il matrimonio tra il Bonaparte nato a Trieste (Napoleone Girolamo) e la figlia primogenita di Vittorio Emanuele II, Maria Clotilde di Savoia.
CASTELLO DI DUINO Nel castello, la cui struttura essenziale risale al XIV secolo, si trovano molti collegamenti con la Francia. Il Castello di Duino parla francese non solo perché fu la lingua della nobiltà europea, ma soprattutto perché i Torre e Tasso sono imparentati con i Bonaparte avendo la figlia di Maria Bonaparte, Eugenia di Grecia e Danimarca, sposato il principe Raimondo, secondo duca del castello di Duino. Dal matrimonio nacque Carlo Alessandro, attuale duca del Castello di Duino. La principessa Maria Bonaparte, bisnipote di Luciano Bonaparte (fratello di Napoleone), è ritratta in un quadro ancora esposto ed è famosa per la sua promozione del Movimento psicoanalitico e per la traduzione delle opere di Sigmund Freud. Al Castello di Duino trovarono ospitalità molti intellettuali oltre a Rainer Maria Rilke: in particolare, tra i francesi, Paul Valéry e Victor Hugo. Entrambi ebbero legami diretti con Trieste. Il nonno di Paul Valéry (Giulio Costantino Grassi) era liquidatore e regolatore di avarie a Trieste per le Assicurazioni Generali, la Riunione Adriatica di Sicurtà e il Lloyd Triestino. Victor Hugo, invece, in più occasioni dimostrò la sua simpatia per Trieste e per i Triestini, che nel 1871 gli avevano inviato un messaggio dopo la sua espulsione dal Belgio. Egli ricambiò chiedendo la grazia per Guglielmo Oberdan all’indomani dell’attentato contro Francesco Giuseppe. (castellodiduino.it)