Itinerari letterari

Nei romanzi, nei saggi, nelle parole e nella vita di molti autori francesi c’è qualcosa di Trieste e della sua affascinante storia. Tra queste strade si possono incontrare Chateaubriand e Stendhal, Jules Verne e Nodier, gli avi di Paul Valéry o quelli della moglie di Paul Morand. E questa città è stata resa ancor più grande per la presenza di francesi ricordati nei romanzi di George Sand o per le scelte politiche di Victor Hugo.

LOCANDA ALL’AQUILA NERA Nel luogo in cui fino al 1985 sorgeva l’Albergo al Corso è situata la Locanda All’Aquila nera, un albergo di second’ordine che ospitò Henry Beyle (Stendhal) al suo arrivo a Trieste nel 1830. Egli giunse a Trieste dopo una forte delusione sentimentale proprio mentre a Parigi veniva pubblicato Le Rouge et le Noir. Il 25 novembre del 1830 – alle sette di sera – entrò all’Hotel Zum Schwarzen Adler con in tasca le credenziali di Console di Francia a Trieste, ruolo che ricoprirà per soli tre mesi, fino a quando, con la nomina di Ambasciatore, potrà partire per Civitavecchia.

CAFFE’ TOMMASEO La piazza Verdi è contigua a quella intitolata a Tommaseo, dove si può osservare la parte postica della Borsa vecchia. Qui si trova il Caffè Tommaseo, di cui una lapide ricorda i fasti quarantotteschi, aperto in un edificio neoclassico (arch. Antonio Buttazzoni, 1824). Luogo di incontro dei Francesi a Trieste e caffè frequentato da Stendhal.

TEATRO GIUSEPPE VERDI Su piazza Giuseppe Verdi si affaccia l’omonimo teatro sorto, dopo la scomparsa del vecchio Teatro San Pietro, per intraprendenza di Matteo Giovanni Tommasini, negoziante di borsa console di Toscana. Fu inaugurato il 21 aprile 1801 e all’inizio ebbe il nome “Nuovo”, poi “Grande”, e ancora, “Comunale”, finché nel 1901 fu intitolato a Giuseppe Verdi. Sulla facciata ci sono ben cinque palle di cannone da 32 libbre, ricordo dell’ultima battaglia dei Francesi nel 1813. In questo teatro si esibì nel 1816 – dall’1 al 5 settembre – Niccolò Paganini, che mandò in visibilio il pubblico. A questo soggiorno del celebre musicista sono legati diversi racconti su un suo incontro con quella che fu la Granduchessa di Toscana, Elisa Baciocchi, con cui ebbe una lunga e proficua relazione. Celebri gli amori, sbocciati o mancati, tra i Francesi a Trieste e le attrici e cantanti del Teatro: Girolamo ebbe una lunga storia con l’attrice Rosa Pinotti conosciuta nel 1815, mentre Stendhal si innamorò – non ricambiato, pare – della cantante primadonna Carolina Ungher. E’ giusto infine ricordare che il teatro a Trieste parlava francese ben prima dell’arrivo di Napoleone, con Voltaire, Rabelais, Molière e Regnard, Diderot e Beaumarchais, Crébillon. Il vecchio Teatro San Pietro accoglieva le traduzioni delle opere francesi, tanto che il primo cartellone nella lingua d’oltralpe risale al 1776, ma già due anni prima i triestini ebbero modo di applaudire la Gabrielle de Vergy di Dormont de Belloy e l’adattamento di Hamlet di Jean-François Ducis. I consoli di Francia a Trieste ebbero un palco riservato attivo dal 1705 al 1801 per rappresentare il prestigio dei re di Francia. (www.teatroverdi-trieste.com)

LOCANDA GRANDE La Locanda Grande, l’albergo più importante del tempo (rimasto famoso soprattutto per la morte del grande archeologo tedesco Giovanni Winckelmann, padre del neoclassicismo) sorgeva dove oggi si incontra il Palazzetto ex Vanoli (arch. Eugenio Geiringer e Giovanni Righetti, 1873). Il palazzo, eretto per volontà del Comune tra il 1727 ed il 1732, ospitava l’Osteria Grande che successivamente fu restaurata e ampliata assumendo la denominazione di Locanda Grande fino al 1847, anno della demolizione. E’ qui che si fermarono tra il 6 e il 7 agosto 1814 Girolamo Bonaparte (con il nome di Conte di Hartz) e la sorella Elisa Baciocchi (con il nome di Duchessa di Campignano).

PALAZZO VICCO Il Palazzo, attuale sede del Vescovado, arricchito da un elegante poggiolo dalla linea quasi rococò con fanali in ferro battuto, è il luogo dove visse i suoi ultimi anni e si spense Joseph Fouché, ministro di Polizia durante la Rivoluzione francese che ebbe un ruolo di primo piano nella repressione della Vandea e come governatore delle Province Illiriche. Scelse il sole di Trieste per il suo esilio, richiamato qui da Elisa Bonaparte: passeggiò lungo il Boschetto, scoprì il Carso, frequentò la Cattedrale di San Giusto, dove venne sepolto per oltre cinquant’anni,  e pregò alla Beata Vergine del Soccorso fino a quando morì alla Vigilia di Natale del 1820. Diverse storie e una leggenda accompagnano la fine di Fouché: i suoi canarini morirono per i fumi levatisi dalle stufe che bruciavano le carte segrete che portava con sé dall’epoca della Rivoluzione, e il suo carro funebre fu rovesciato dalla Bora sulla strada verso San Giusto da dove sarà traslato in Francia per opera di Emile Combes, il Presidente del Consiglio più controverso della Terza Repubblica.

BIBLIOTECA CIVICA Quella che oggi è la sede della Biblioteca Civica è un edificio costruito nel 1802 (arch. Giovanni Bubolini) per la famiglia de Mohrenfeld. Nel 1804 fu ceduto ad Antonio Biserini (di cui porta ancora oggi il nome) , parente di Cassis Faraone. Sin dal 1807 si pensò di aprirvi un’accademia di commercio e nautica, ma l’occupazione francese rinviò l’attuazione del progetto trasformando il palazzo nella sede dell’Intendenza napoleonica e vi si stabilirono i suoi titolari, Lucien Emile Arnault e il barone Angelo Calafati (1809-1813). Nel 1813, inoltre, venne abbattuto l’antico convento dei Frati minori per creare uno spazio urbano caratterizzato dal verde e da una zona d’acqua centrale. Nacque così Piazza Lutzen (per celebrare la vittoria di Napoleone sui russo-prussiani nel 1813), che divenne in seguito Piazza Lipsia (per ricordare la vittoria della coalizione contro Napoleone cinque mesi dopo). E’ a Palazzo Biserini che lo scrittore francese Jean Charles Emmanuel Nodier pubblicò il periodico Télégraphe Officiel des provinces illyriennes. Lasciata Trieste, Nodier la ricordò ambientandovi due dei suoi romanzi, Jean Sbogar del 1818 e Mademoiselle de Marsan del 1832. Interessante il fatto che alla Biblioteca Civica siano conservati stralci della corrispondenza di Napoleone Bonaparte e anche un piccolo trattato di morfologia latina manoscritto dal Delfino di Francia, figlio di Luigi XVI e di Maria Antonietta.

CATTEDRALE DI SAN GIUSTO Nel medioevo affondano le loro origini il castello, la cattedrale e gli edifici a lato (il Battistero di San Giovanni, la Chiesetta di San Michele al Carnale). La cattedrale, ingentilita dal rosone della fine del ‘300, ha una navata centrale con soffitto trecentesco in legno dipinto mentre ai lati si susseguono le cappelle dove trovarono sepoltura, seppur breve, realisti e napoleonidi in fuga. Dapprima fu la volta delle Mesdames di Francia, Adelaide e Vittoria: decedute a Trieste, le figlie di Luigi XV riposarono nella Cattedrale fino a quando i loro resti vennero riportati in Francia da Luigi XVIII durante la Restaurazione borbonica e sepolti nell’Abbazia di Saint-Denis.  Un ospite d’eccezione per Trieste si recherà a rendere omaggio alle Mesdames sepolte a san Giusto: si tratta di François-René de Chateaubriand, che giunse a Trieste il 29 luglio 1806 diretto in Terrasanta. Visitò la città e vi si fermò fino al 2 agosto, facendosi guidare da Jacques-Barthélemy-Dieudonné Fidédy de Lavergne, signore di Fontbonne, che – col nome di Meye – lavorava come agente di cambio a Trieste, dove si è era stabilito nel 1798. De Chateaubriand ricordò il pellegrinaggio a San Giusto nell’articolo apparso sul Mercure il 4 luglio 1807 e raccontò Trieste anche nei Mémoires d’Outre Tombe oltre che – ovviamente – nel suo Itinéraire apparso nel 1811. All’esterno della Cattedrale, sopra al capitello della colonna romana a fianco dell’ingresso principale, si posa il piccione che porta il messaggio cifrato nel celebre romanzo Mathias Sandorf di Jules Verne, apparso nel 1885 in un’edizione illustrata da molti disegni di Bennet (la Corte, il Molo San Carlo, il Canal Grande, un panorama, il Lloyd). I capitoli riguardanti Trieste sono stati tradotti e pubblicati in italiano da Carpinteri e Faraguna col titolo La congiura di Trieste.

CIMITERO ORTODOSSO Paul Morand, diplomatico, biografo, saggista e cronista francese, membro dell’Académie Française legò indissolubilmente il suo nome a Trieste dove visse per anni e dove è ancora sepolto al Cimitero greco-ortodosso. Nella vita di Paul Morand entrò nel 1927 Hélène Chrissoveloni, moglie divorziata del principe Soutzo ed entrata nella leggende della Belle Epoque, grazie anche al fatto che Marcel Proust a lei dedicò All’ombra delle fanciulle in fiore. Hélène era figlia di una triestina, appartenente alla ricca famiglia degli Economo, proprietari di Barcola e dell’omonimo palazzo in Piazza Libertà (piazza Libertà, 7 - arch. Giovanni Scalmanini). Paul Morand parlò di Trieste nella sua ultimo opera Venises.

CASTELLO DI DUINO Nel castello, la cui struttura essenziale risale al XIV secolo, si trovano molti collegamenti con la Francia. Il Castello di Duino parla francese non solo perché fu la lingua della nobiltà europea, ma soprattutto perché i Torre e Tasso sono imparentati con i Bonaparte avendo la figlia di Maria Bonaparte, Eugenia di Grecia e Danimarca, sposato il principe Raimondo, secondo duca del castello di Duino. Dal matrimonio nacque Carlo Alessandro, attuale duca del Castello di Duino. La principessa Maria Bonaparte, bisnipote di Luciano Bonaparte (fratello di Napoleone), è ritratta in un quadro ancora esposto ed è famosa per la sua promozione del Movimento psicoanalitico e per la traduzione delle opere di Sigmund Freud. Al Castello di Duino trovarono ospitalità molti intellettuali oltre a Rainer Maria Rilke: in particolare, tra i francesi, Paul Valéry e Victor Hugo. Entrambi ebbero legami diretti con Trieste. Il nonno di Paul Valéry (Giulio Costantino Grassi) era liquidatore e regolatore di avarie a Trieste per le Assicurazioni Generali, la Riunione Adriatica di Sicurtà e il Lloyd Triestino. Victor Hugo, invece, in più occasioni dimostrò la sua simpatia per Trieste e per i Triestini, che nel 1871 gli avevano inviato un messaggio dopo la sua espulsione dal Belgio. Egli ricambiò chiedendo la grazia per Guglielmo Oberdan all’indomani dell’attentato contro Francesco Giuseppe. (castellodiduino.it)

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