Palazzo de Lellis
Il Palazzo de Lellis, costruito dal cavalier Don Carlos de Lellis nel 1797, sede del Consolato di Spagna, ospita tra il 1799 e il 1800 le Mesdames di Francia, Adelaide e Vittoria, in esilio a Trieste dove entrambe muoiono.
Il Palazzo, subisce la stessa sorte di tutti gli immobili di quel quartiere che il decreto del 30 agosto 1858 condanna alla sparizione per permettere la costruzione della stazione ferroviaria e la creazione dell’attuale piazza della Libertà. Si trovava al posto dell’odierno giardinetto.
LE MESDAMES A PALAZZO DE LELLIS
Adelaide e Vittoria, le sole sopravvissute delle sei figlie di Luigi XV, si sono schierate dalla parte dei “non giurati”, cioè di quei vescovi e curati che si sono rifiutati di prestare giuramento alla Costituzione civile del Clero e che, avendo ricevuto da Luigi XVI, il 20 febbraio 1791, l’autorizzazione a emigrare, sono andate a Roma, e poi a Napoli, sospinte dagli avvenimenti.
La loro fuga da Caserta, il 28 dicembre 1798, e il loro imbarco a Bari, il 4 febbraio 1799, avviene su un trabaccolo in partenza per Corfù, dove prendono il vascello con 74 cannoni di S.M. Fedelissima, “La Regina del Portogallo”, che il 19 maggio, alle nove del mattino, getta l’ancora davanti a Trieste.
Il governatore, il conte Brigido, e il cavalier de Lellis, console di Spagna, vanno incontro alle principesse, ma non salgono a bordo: il bastimento, infatti, doveva scontare due settimane di quarantena.
Un ingegnoso sotterfugio, tuttavia, fa sì che le Mesdames vengono autorizzate a sbarcare: devono alloggiare al Consolato di Spagna, trasformato in un finto lazzaretto. Il 20 maggio, dopo che la Sanità ha preso ogni precauzione, Adelaide è trasportata in una portantina della “Regina del Portogallo” alla barca che la conduce al piccolissimo attracco di Palazzo de Lellis, oggi scomparso (al suo posto c’è il giardinetto di piazza Libertà, ndr). Un’ora più tardi e nello stesso modo lascia la nave la sorella Vittoria. Ventun colpi tirati dal Castello e da tutte le navi della squadra salutano le fuggiasche principesse.
Il Consolato di Spagna avrebbe dovuto essere per loro solo una tappa. In effetti non hanno intenzione di restare a Trieste. Quando sono partite da Napoli il conte de Chastellux, cavaliere d’onore di Vittoria, ha scritto al Vescovo di Nancy per pregarlo d’accordarsi con la Corte di Vienna in vista di una loro sistemazione in Austria. All’arrivo il Conte trova la risposta che aspettava: si dà loro da scegliere tra Agram, Fiume e Laibach, la Croazia o l’Illiria.
Ma era impossibile pensare di continuare il viaggio.
Vittoria è giunta al termine della sua vita. Muore il 7 giugno 1799, a 67 anni, dopo aver dato prova, durante l’agonia, di una grande forza d’animo. La sera stessa, chiusa in una doppia bara di larice e di piombo ricoperta da una tela nera, le sue spoglie mortali giungono a San Giusto. Sei cavalli trainano il carro funebre attorniato da una guardia d’onore formata dai soldati della guarnigione. Lo segue una carrozza anch’essa trainata da sei cavalli nella quale ha preso posto il Vescovo di Moulins, l’elemosiniere per la defunta. Per le ripide stradine della città alta, al chiarore delle fiaccole, come una processione notturna, il corteo risale lentamente la collina. Alle undici di sera si ferma ai piedi della scalinata che delimita la piazza davanti al santuario. Il Vescovo di Trieste, Ignazio Gaetano Buset de Faistenberg, lo aspetta qui, alla testa del Capitolo e del clero. Monsignor de la Tour pronuncia una breve e indovinata allocuzione in latino, chiedendo per la principessa gli onori reali e pregando che il suo corpo sia conservato in un desposito “a disposizione di suo nipote, legittimo successore al trono di Francia, il re Luigi XVIII”. Accolta la sua richiesta, la bara è fatta entrare in chiesa e deposta su un dignitoso catafalco circondato di torce accese mentre, accompagnata da canti solenni, viene data l’assoluzione. Ciò che resta della notte trascorre tra le salmodie dei sacerdoti francesi che vegliano, inginocchiati, le spoglie funebri.
Dall’alba a mezzogiorno su tutti gli altari si succedono corone di preghiere che si levano intorno a Vittoria e messe per il riposo della sua anima. Alle dieci e mezza vengono celebrati i funerali solenni. Li presiede monsignor de Buset e vi assiste il conte Brigido, circondato da tutte le autorità civili e militari; a lato i famigliari delle Mesdames, i personaggi di seguito, gli emigrati residenti a Trieste.
Finita l’assoluzione solenne e compiute le ultime formalità, il conte Pierre d’Armagnac, capitano del reggimento di fanteria di linea del Vivarais – il quale, come paggio di Luigi XV, nel 1774 aveva partecipato a Saint-Denis alle onoranze funebri rese alle spoglie del padre delle Mesdames – a nome dei francesi chiede al conte de Chastellux il favore di portare la bara fino alla tomba. Si uniscono a loro tre emigrati che si trovano molto vicini al catafalco.
Qualche giorno dopo, il 4 agosto, l’Abate Madier, che è stato confessore della defunta e delle sue sorelle, a sua volta muore. “Fu seppellito nella Cattedrale di San Giusto il 6 agosto”, scrive il suo biografo, René Roux; funerali poveri di emigrato, che vuole pagare il fedele servitore Edme Baillet, e che passano umilmente in mezzo ai Te Deum dell’Impero: con Bonaparte bloccato in Egitto e Souvarov vincitore in Italia, l’Austria, che non tiene conto di Massena sotto Zurigo, si crede sicura del prossimo trionfo”.
Madame Adelaide, disorientata, può sopportare un’altra tappa sulla via dell’esilio? Convinta che la sorella non dormirà per sempre in terra straniera, ha rifiutato una concessione speciale per lei. Le sembra che la tomba di Vittoria segni la fine delle sue peregrinazioni e che non debba essere abbandonata, morta, colei che è stata la compagna di tutta la sua vita. Declinata l’offerta di Francesco II di una tranquilla residenza ad Agram, conclude un’esistenza ormai priva di avvenimenti circondata da un gruppetto di emigrati, tra i quali spicca la forte personalità della duchessa de Narbonne-Lara, la sua fedele dama di compagnia.
Le sue ultime parole sono tanto più dolorose in quanto gli esiliati sono alle prese con le peggiori difficoltà, perché la pensione che la Corte di Madrid (anch’essa a corto di fondi) si è impegnata a pagare alle principesse non viene versata loro regolarmente. È in quel momento che la duchessa de Narbonne “scrisse ai due figli residenti in Germania per pregarli di raggiungerla. Essi risposero al suo appello e assistettero agli ultimi istanti della figlia di Luigi XV come se assistessero al contessa e la sua figlia maggiore”. Adelaide spira il 18 febbraio 1800, otto mesi dopo Vittoria. Il 28 alle sette di sera, con lo stesso cerimoniale, le sue spoglie mortali sono trasportate da Palazzo de Lellis a San Giusto.
All’indomani della morte di Vittoria, colui che i fedeli alla monarchia chiamavano Re ma che ancora era soltanto il conte de Lille, in esilio a Mittau, ha fatto conoscere la sua volontà: il corpo di sua zia deva restare a Trieste. Non ritroveremo la pietas famigliare di Luigi XVIII in suo nipote, il duca de Berry. L’8 settembre 1800, sei mesi dopo la morte di Madame Adelaide, arriva a Trieste, proveniente da Ancona, a bordo della corvetta reale napoletana “La Fortuna”, il figlio minore di “Monsieur, il conte d’Artois” che si ferma alla Locanda Grande. Nel corso del breve soggiorno, il Berry non trova il tempo di andare a inginocchiarsi sulla tomba delle zie.
La duchessa de Narbonne decide di restare a Trieste.